Museo Diocesano

Il Museo Diocesano del Duomo di Salerno ha sede nell'antico ex seminario arcivescovile che fu, precedentemente, l'ultima sede della scuola medica salernitana (quivi soppressa nel 1811) ed è punto di riferimento importante per la conoscenza della storia e della cultura campana dal medioevo al XVIII secolo.

La sede

Il seminario di Salerno fu fondato dall'arcivescovo Gaspare Cervantes, a seguito delle prescrizioni dettate dal Concilio di Trento il 15 luglio 1563. Il luogo prescelto per la costruzione dell'edificio fu individuato in un'area a nord della Cattedrale e la sua realizzazione avvenne in maniera disorganica, tanto che si resero necessari svariati interventi di ristrutturazione nel corso dei secoli, fin quando l'arcivescovo Lupoli, nel 1832, fece sopraelevare il secondo piano e rifare l'intera facciata, determinando l'attuale conformazione dell'edificio

La storia

Il Museo Diocesano San Matteo, insieme alla biblioteca e all'archivio diocesano, ha trovato la sua giusta collocazione nell'edificio che fino agli anni Ottanta del secolo scorso fu sede del seminario e che, grazie alla presenza delle tre prestigiose istituzioni, è divenuto un eminente polo culturale, riferimento della città e della Provincia. Nel 1980, a seguito degli eventi sismici che ne compromisero la statica l'edificio (ristrutturato più volte renderlo funzionale alle attività del Seminario), divenne sede del nuovo museo, dell'archivio e della biblioteca diocesana e fu interessato da importanti lavori di restauro curati dalla Soprintendenza per i B.A.A.A.S di Salerno e Avellino. La raccolta museale fu voluta negli anni '30 del secolo scorso dal monsignor Arturo Capone, che individuò opere d'arte estremamente interessanti conservate nella sagrestia e nella cappella del Tesoro della Cattedrale di Salerno, celate e non facilmente fruibili. Il museo venne quindi istituito nel 1935 e le preziose opere vennero esposte in un primo tempo solo in due piccole sale collocate nell'edificio a ridosso della navata sinistra della Cattedrale, ampliate successivamente da ulteriori ambienti. La collezione, considerata un'organica rassegna della produzione artistica dell'Italia meridionale dal Medioevo al XVIII secolo, venne trasferita nel 1990 nei locali dell'ex seminario, restaurati e ad essa destinati.

Dopo essere stato chiuso per diverso tempo con solo qualche apertura saltuaria, il Museo è stato definitivamente aperto al pubblico nel 2012 per volere del Mibac dopo una certosina programmazione museale da parte del soprintendente ai beni artistici Maura Picciau. Il 24 luglio 2013 è stata inaugurata una nuova sala completamente dedicata al Seicento e nell'occasione è stata presentata una guida breve a tutte le opere esposte.

La collezione

Il nucleo iniziale della raccolta era costituito dalle opere d'arte donate dal marchese Ruggi d'Aragona e dall'arcivescovo Isidoro Sánchez de Luna, nonché da notevoli manufatti conservati nella sagrestia dell Cattedrale. Fu arricchito nel tempo anche da altre opere provenienti da chiese della diocesi e da interessanti reperti acquistati sul mercato antiquario o provenienti da lasciti testamentari. Particolare rilievo rivestono le testimonianze di arte medioevale, frutto della temperie culturale che caratterizzò le regioni dell'Italia meridionale, al centro dei complessi rapporti commerciali ed intellettuali che si tenevano tra Oriente ed Occidente. Preziosissimo è il ciclo degli avori, che costituisce la più completa raccolta del Medioevo cristiano esistente al mondo, risalente all'XI-XII secolo insieme al complesso degli undici fogli in pergamena miniata in cui è illustrata la preghiera dell'Exsultet, databili agli inizi del XIII secolo. La collezione museale testimonia con efficacia lo sviluppo della cultura figurativa meridionale, dalla tradizione orientale-bizantina agli influssi giotteschi, martiniani e vignonesi, agli echi della cultura improntata da artisti veneti, marchigiani e ferraresi. Il Cinquecento e le novità della pittura rinascimentale, espresso al sommo grado dall'arte di Raffaello, sono documentate dall'opera di Andrea Sabatini, i cui dipinti costituiscono un'ampia sezione del Museo. La raccolta seicentesca è composta quasi esclusivamente da opere napoletane, con una maggioranza di dipinti di cultura naturalistica e una piccola componente di cultura barocca. Il museo vanta inoltre una collezione di monete della Magna Grecia, della Repubblica di Roma, dell'Impero Romano e della Zecca di Salerno e un interessante lapidarium, con reperti databili tra il I secolo a.C e il XVII secolo d.C Un'ultima sezione, costituita da opere di interesse antiquario, è stata realizzata grazie al lascito testamentario di monsignor Arturo Carucci, direttore del museo per più di sessant'anni.

Avori Salernitani

Gli Avori Salernitani sono un ciclo di 67 tavolette di avorio (in origine erano una settantina) raffiguranti scene del Vecchio e Nuovo Testamento provenienti dalla Cattedrale di Salerno ed esposti per la maggior parte nel locale Museo Diocesano. Per la loro quasi completezza e l'eccellente stato di conservazione, rappresentano il ciclo decorativo eburneo più importante al mondo.

Pannello conservato al Museo diocesano di Salerno raffigurante il primo giorno della Creazione

Origine

Non sappiamo chi sia stato a commissionare l'imponente opera, né a cosa fosse esattamente destinata: pare appurato, in base a studi iniziati negli anni trenta e tuttora in corso, che furono realizzati quasi esclusivamente per la Cattedrale salernitana, ove furono sempre custoditi fino alla seconda guerra mondiale.

Nel complesso, il ciclo presenta tre, se non addirittura quattro stili decorativi differenti, tanti quanto si ritiene siano stati gli autori (due per il Vecchio Testamento, almeno altri due, se non tre per il Nuovo) ed anche le loro origini: sono state individuate possibili "maestranze" nordeuropee, arabe e bizantine, con precisi richiami a cicli eburnei prodotti nella vicina Amalfi, ma anche nel Nord Italia (in particolar modo agli Avori di Grado). La precisa "scelta" degli episodi raffigurati fa comunque intendere che il ciclo non fosse stato concepito come una "Bibbia dei poveri", come per anni s'era erroneamente creduto, ma che dietro gli autori ci fosse una committenza specifica e sicuramente colta, forse ecclesiastica. A conferma di ciò poi, tutte le figure, anche le più umili, non appaiono mai rozze o incolte, ma sempre lavorate con estrema precisione e finezza.

Tecnica

La tecnica usata è quella dell'incisione diretta sulle tavolette, con molti abbozzi iniziali dell'opera compiuti -e ve n'è ancora traccia evidente- sul retro delle stesse, dopo esser state tenute a bagno nell'aceto per stirarle e renderle più duttili alla lavorazione; a ciò s'aggiunge la tecnica, di derivazione carolingia, della fusione diretta sull'avorio di perline di pasta vitrea nera come decorazione per gli occhi dei personaggi.

Temi

Vecchio Testamento

Il ciclo inizia con le tavolette del Vecchio Testamento che hanno un andamento orizzontale e sono divise in due riquadri per pezzo. Si comincia dalla Separazione della Luce dalle Tenebre e dalla Creazione degli Angeli per arrivare alla creazione dei progenitori e al Peccato Originale; dal Diluvio Universale si passa via via ad altri episodi biblici quali La Torre di Babele, le Storie di Abramo e di Mosè per terminare con la Consegna delle Tavole della Legge. Alcune di queste tavolette non si trovano più a Salerno, ma sono esposte in alcuni dei musei più importanti del mondo: basti ricordare quella con le Storie di Caino e Abele del Louvre di Parigi (presentanti un'originale "invenzione", da parte dell'autore, della morte di Abele che avviene per strangolamento), o quella della Creazione degli animali, segata in due parti, conservate rispettivamente a Budapest e a New York; quest'ultima presenta un ulteriore riferimento all'arte carolingia, giacché tra le bestie è raffigurata una pistrice, ibrido tra volpe e serpente marino tipico della scultura franco-gotica; sul retro della prima, invece, vi è una iscrizione di cui si parlerà in seguito (vedi capitolo Dispersione e possibile destinazione d'uso).

Come già detto, per via della sua essenzialità ed estrema sintesi, si ritiene che l'autore del Vecchio Testamento possa essere originario del nordeuropa/Italia, e che avesse ben presenti le sculture di quei posti (in particolar modo i rilievi del Duomo di Modena di Wiligelmo, o le sculture del chiostro di Moissac).

Nuovo Testamento

A differenza del primo, il Nuovo Testamento colpisce subito per l'andamento: non più orizzontale ma verticale, con le tavolette divise sempre in due episodi, ma stavolta messi l'uno sopra l'altro; ciò fa intuire che, nella posizione originaria del ciclo, esso avesse una funzione diversa, quasi centrale nella composizione. Altro fattore rilevante è lo stile diverso, frutto dell'amalgama tra gli stili di tendenza normanna, araba e bizantina (quest'ultima tendente al recupero dell'arte classica), segno tangibile che l'opera sia attribuibile ad almeno tre maestri, e con una sovrabbondanza decorativa e di sfondi che fa pensare ad una sorta di horror vacui. Vi sono inoltre richiami precisi a Salerno e al mondo orientale, con la città e i templi simili più a minareti e moschee che a chiese cristiane. Fonte iconografica di riferimento sono gli Avori di Grado,ed il vangelo apocrifo di Giacomo.

La prima tavoletta, raffigurante quasi sicuramente una Annunciazione, è andata perduta, mentre le altre sono tutte conservate. La prima collocabile cronologicamente è quella con La Visitazione nel registro superiore e con I Magi davanti ad Erode in quello inferiore. Si prosegue con Maria che annuncia a Giuseppe la gravidanza ed Il Sogno di Giuseppe, per proseguire con la Natività,La fuga in Egitto (sul cui sfondo è raffigurato il Castello di Arechi, e sul cui retro sono visibili le incisioni-bozzetto originarie) e la Strage degli innocenti (con Sant'Elisabetta e San Giovanni Battista e la montagna che si richiude su di loro proteggendoli). A questo punto compare la figura di Cristo adulto, che esordisce con il Battesimo e le Nozze di Cana per proseguire con vari miracoli (tra cui la Resurrezione del figlio della vedova e di Lazzaro, la Guarigione dei tre infermi, dello storpio e del cieco nato), per poi giungere all'Ultima Cena, alla Crocifissione (a rappresentazione unica) e all'Apparizione alle Marie e alla Incredulità di Tommaso: quest'ultima appare iconograficamente pregiatissima, con un vero e proprio sfondo floreale simul-Liberty nel primo episodio, e con uno dei primi tentativi di trompe-l'œil nel secondo. Chiudono il ciclo l'Ascensione (ancora a figura intera, con tanto di pregiate colonnine decorative) e la Pentecoste, più alcuni medaglioni raffiguranti, singolarmente, gli apostoli e i tre donatori.

Dispersione e possibile destinazione d'uso

Non sappiamo quando e come sia avvenuta la disgregazione del ciclo e la dispersione delle tavolette. Certo è che, contrariamente a quel che si pensa, poche di esse furono rubate: da qualunque parte della Cattedrale fossero conservate, è certo che un furto, avvenuto sicuramente con degli uncini per staccarli dalla sede originaria (di cui appaiono ancora evidenti i segni sui fianchi di molte, e che quasi sicuramente portarono alla rottura o al grave danneggiamento di varie) e sotto gli occhi di tutti, appare invero poco probabile. Sul retro della tavoletta con La Creazione degli animali conservata a Budapest è incisa, in ungherese, una scritta che recita: "Presa da un antiquario a Napoli, ma proveniente da Salerno, nel 1823": a meno che non si tratti di un clamoroso furto sacrilego, appare improbabile che un antiquario avesse rubato da una chiesa un arredo sacro così importante e celebre per poi venderlo ad uno straniero. È più probabile che essa, come le altre mancanti all'appello, sia stata regolarmente venduta, ma non esistono documenti che lo provino.

Il paliotto viene citato per la prima volta agli inizi del XVI secolo, quando viene nominata "una grande tavola d'avorio" (cona de ebore magno) sita nella sacrestia della Cattedrale di Salerno: probabilmente si tratta dello stesso pannello che fu visto ed accuratamente disegnato alla metà dell'Ottocento dallo storico dell'arte francese Charles Rohault de Fleury, al quale si deve la prima testimonianza diretta dell'opera in situ, e che probabilmente non era quella originaria: osservando attentamente la grafica, si nota che non tutti gli episodi erano in successione cronologica, ed addirittura alcune tavolette tuttora esistenti non erano neppure presenti nell'opera.

Altra ipotesi, formulata all'inizio degli anni sessanta e ritenuta valida fino al 1980, è quella del tedesco Hans Hempel, secondo il quale gli avori decoravano una cattedra vescovile (se non addirittura allegorica) su modello degli Avori di Grado; contemporaneamente, l'inglese Robert Bergman ha sostenuto che decorassero una porta posta a chiusura dell'iconostasi della Cattedrale salernitana. Altre ipotesi sostengono che ricoprissero una "capsa" reliquiaria, se non addirittura l'antico altare della Cattedrale, ma probabilmente una risposta chiara e definitiva non si avrà mai.

Conservazione e stato attuale

Il pregio principale degli Avori Salernitani sta nella loro conservazione: infatti, nonostante i quasi mille anni d'età, le tavolette conservano ancora il loro splendido colore giallo paglierino, molto "caldo" nonché gradevole; ciò è probabilmente dovuto al fatto che essi sono stati lucidati spesso, e tenuti lontano da fonti dirette di calore, che li avrebbero inevitabilmente anneriti.

Attualmente (2008) quasi tutte le tavolette sono esposte al Museo Diocesano di Salerno, fatta eccezione per le (fortunatamente pochissime) perse ed un'altra decina divisa tra il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra, i Musei statali di Berlino (Staatlichen Museen zu Berlin), l'Ermitage di San Pietroburgo ed il Museo di Belle Arti di Budapest (Szépmüvészeti Múzeum). Inoltre, dal dicembre 2007 fino al 4 maggio 2008 ha avuto luogo, sempre al Museo Diocesano, una bellissima retrospettiva che ha riunito, per la prima volta dopo trent'anni, l'intero ciclo eburneo oltre a parte degli Avori di Grado ed altri pezzi pregiati in tale elemento, di fattura amalfitana e salernitana od ispirati alle botteghe locali.

Il Medioevo

La seconda sala ospita opere provenienti dalla Cattedrale, da chiese di Salerno e da donazioni: risalta tra di esse la preziosa croce realizzata nell'XI secolo che, secondo la tradizione, Roberto il Guiscardo, principe di Salerno, portava con sé durante le battaglie. In esposizione anche il sigillo di Romualdo II Guarna, arcivescovo di Salerno dal 1153 al 1181, rinvenuto nel 1950 all'interno di un'urna-reliquario. L'arcivescovo Guarna è ricordato anche come munifico donatore del prezioso ambone posto sulla sinistra della navata centrale del Duomo di Salerno.

Risente ancora fortemente della tradizione bizantina l'affresco raffigurante San Nicola e San Giovanni Evangelista, che originariamente decorava la chiesa di Santa Maria de Lama. Pur rispecchiando gli stilemi delle croci umbro-laziali del XIII secolo, denuncia ascendenze bizantine anche il dipinto su tavola raffigurante Crocifisso e dolenti, originariamente collocato nella chiesa di San Benedetto, poi trasferito nella chiesa di Santa Maria della Pietà che da allora è intitolata al Santissimo Crocifisso.

LEGGENDA DEL CROCIFISSO

La figura di Pietro Berliario, alchimista del XII secolo, è stata fonte di innumerevoli leggende, tra queste la più conosciuta è sicuramente quella della sua conversione.

Si racconta che un giorno Pietro lasciò a casa i due nipotini, che si diedero a curiosare tra i libri, alambicchi e suppellettili magici. Lo zio, di ritorno, li trovò morti, forse asfissiati dalle esalazioni che uscivano dai vari miscugli; o, secondo altri, perchè, aprendo un libro magico, fossero stati soffocati dai demoni.

Fu così che egli rinunciò a tutti i suoi studi ed esperimenti e si ritirò presso la chiesa dei Benedettini. Qui rimase tre giorni e tre notti a pregare sotto il crocifisso dipinto su legno, che, infine, piegò il capo in segno di perdono.

Alla voce del miracolo una gran folla si riversò nella chiesa; si sa che dove c’è folla c’è mercato e così molti furono gli artigiani che andarono a vendere i propri prodotti nello spazio antistante la chiesa. Da questo ha avuto origine la tradizionale Fiera del Crocifisso che ancora oggi si svolge nei venerdì di marzo.

Pietro si fece monaco e visse nel monastero di S. Benedetto gli ultimi anni della sua vita.

Il crocifisso, ancora con la testa piegata, è possibile ammirarlo presso il Museo Diocesano “San Matteo” Salerno

L'Exsultet

L'Exsultet (nei Messali prima del 1920 veniva scritto Exultet) è un canto liturgico proprio della Chiesa cattolica che viene cantato la notte di Pasqua nella solenne Veglia pasquale, da un diacono o un cantore. Con esso si proclama la vittoria della luce sulle tenebre, simbolizzata dal cero pasquale che viene acceso, e annuncia la risurrezione di Cristo e il declamante invita tutta l'assemblea a gioire per il compiersi della profezia del mistero pasquale, ripercorrendo nel canto i prodigi della storia della salvezza.

L'Exsultet salernitano rappresenta uno dei rari ma significativi esempi del perdurare in età sveva di intensi scambi culturali tra la Campania e la Sicilia, iniziati nell'ultima fase del periodo normanno.

Le cornici che separano le illustrazioni ripropongono un motivo decorativo simile a quello già utilizzato nell'Exsultet conservato nella Biblioteca Casanatense e, a Salerno, nella cornice che racchiude il Santo Apostolo, affresco coevo della chiesa inferiore di Santa Maria de Lama. Il manufatto sembri appartenere ad uno scriptorium salernitano cui era già stato attribuito un rotolo, oggi conservato nella Biblioteca apostolica vaticana. Attualmente smembrato, è esposto in fogli, racchiusi in teche autoclimatizzanti.

Dal Medioevo al Rinascimento

I dipinti su tavola, provenienti dalla Cattedrale e dalle altre chiese della Diocesi, offrono un panorama della cultura campana in un arco temporale compreso tra il XIV ed il XVI secolo, cultura fortemente influenzata dagli artisti attivi in Nord e Centro Italia. Rilevanti sono gli influssi giotteschi nella Crocifissione di Roberto d'Oderisio ed i riferimenti a Simone Martini nella Pietà e Santi , proveniente dalla chiesa di San Crispino e Crispiniano, opera del cosiddetto Maestro della Pietà di Salerno, in cui alcuni critici riconoscono Ferrante Maglione.

Un richiamo alla cultura angioino-durazzesca si coglie, inoltre, nell'affresco raffigurante l’Annunciazione, staccato dall'edicola tardo-gotica del vicolo dei Sediari. Di alta qualità le opere che rivelano il passaggio dal gusto tardo-gotico al primo Rinascimento, le quali rivelano le relazioni pittoriche tra Salerno ed il Nord Italia. Si distaccano l’Incoronazione della Vergine, dell'anonimo Maestro dell'Incoronazione di Eboli ed il polittico della Madonna con bambino fra i santi Giovanni Battista, Francesco d'Assisi, Bernardino da Siena e Sebastiano, opera firmata dal salernitano Vincenzo de Rogata, databile alla fine del quattrocento.

Il Rinascimento

Sala dedicata alle opere del Rinascimento

A destra il dipinto dedicato alla Santa Caterina d'Alessandria

Le opere d'arte testimoniamo il rinnovamento artistico e culturale dell'età rinascimentale, pervasa dalle tenere atmosfere del primo Raffaello e dalle suggestione leonardesche introdotte al Sud da Cesare da Sesto, di cui fu artefice Andrea Sabatini, nato a Salerno intorno al 1480. L'allestimento della sala illustra la produzione del maestro salernitano e la sua formazione artistica, concentrando l'attenzione sul dipinto di Cesare da Sesto, di proprietà demaniale, L'Adorazione del Bambino e committente, la cui possibile maternità ha oscillato a lungo tra da Sesto e Sabatini. Concordemente, però, è stata rilevata la stretta affinità con l'L'Adorazione dei Magi realizzata da Andrea Sabatini per il Duomo di Salerno. La Pietà, realizzata per la cappella del Santissimo nella Cattedrale, risente delle influenze del soggiorno romano di Sabatini, mentre nel Trittico di Nocera e nella Madonna di Costantinopoli è chiara l'influenza di Pedro Machuca e Alonso Berruguete. A Giovanni Bernardo Lama è attribuito il dipinto con l'Ecce Homo.

Il Seicento

La raccolta seicentesca è costituita quasi esclusivamente da opere di pittura napoletana, prevalentemente di gusto naturalistico con alcune di cultura barocca. Il corpus proviene, per la maggior parte, da donazioni fatte alla Cattedrale dall'arcivescovo Isidoro Sánchez de Luna nel 1772 e dal marchese Giovanni Ruggi d'Aragona. Questo donò alla Cattedrale, con legato testamentario del 1870, parte della sua quadreria, costituita da dipinti di soggetto sacro.

Tra la serie dei dipinti, spiccano la tela con la Giuditta ritratta da Francesco Guarini, ed il David, ascritta ad artista operante nella cerchia di Hendrick van Someren. Alla pittura tenebrosa di Jusepe de Ribera, rimandano invece San Girolamo e San Pietro, mentre la Madonna della Rosa e la Santa Cecilia con Tiburzio e Valeriano sono esemplari di area stanzionesca. All'ultima fase dell'artista piemontese Giovanni Battista Benaschi, sono riconducibili, invece, le grandi tele di soggetto biblico in cui l'autore rivela un'adesione al Barocco di Mattia Preti.

I reperti lapidei

Il corridoio del Museo è stato utilizzato per l'esposizione di reperti marmorei per lo più provenienti dalla Cattedrale di Salerno. Sono esposte quattro lastre decorative a mosaico, delle quali quella rettangolare venne realizzata utilizzando il retro di una lastra di un sarcofago romano, decorato con una scena di un banchetto. I preziosi pannelli musivi provengono dal transetto, dove era poggiato l'altare barocco smontato per l'occasione, e dall'iconostasi, eretta in ossequio ai dettami della renovatio dell'XI secolo.

Lungo il braccio nord sono esposti anche due frammenti di cornice rinvenuti come elementi di riutilizzo durante i lavori di restauro della Cattedrale.

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