Vietri

Vietri sul Mare storicamente è identificata con l'antica Marcina, prima insediamento costiero etrusco-sannita, poi porto romano. Un'origine precisa di Marcina non è ancora del tutto definita anche se l'ipotesi più diffusa indica in Marina di Vietri (l'attuale borgo marinaro del paese), per la precisione nella valle del fiume Bonea alle falde del Monte San Liberatore, la sua presunta collocazione.

La pubblicazione a stampa della voce Marcina inizia nel XV secolo, quando in Europa incominciano a diffondersi le prime edizioni tipografiche della Geografia di Strabone; la vera e propria diffusione del termine presso gli storici e nella pubblicistica si ebbe con il geografo Filippo Cluverio, il quale nel 1642 scriveva: Marcinae oppidum illud est, quonunc dicitur vulgo Veteri. Inoltre alcuni documenti medievali del Codex Diplomaticus Cavensis della Badia di Cava, i quali accennano all'esistenza di rovine di una urbs vetus, che sarebbe alla base dell'odierno toponimo Vietri. In documenti del 969 e del 972 si dice intus ipsa civitate, qui fuit ipsa cibita de beteri (=veteri); in quello del 972 si precisa che de locum de beteri ista et illa parte flubio Bonea iuxta litore maris.

La zona vietrese, con l'ancoraggio di Fuenti, possedeva un porto riparato, un approdo unico nella zona, dal momento che il lido della vicina Salerno, prossimo alla foce dell'Irno, era esposto ai marosi e soggetto ad insabbiamento. Alla luce di questa considerazione nautica, le migliori condizioni di sicurezza suggerirebbero, dunque, la foce del Bonea e di conseguenza Vietri, come sito ideale per l'insediamento di un emporio commerciale etrusco; in più, alla luce della conformazione geografica del territorio, è quello vietrese l'unico centro sul mare, a sud di Punta della Campanella, a così breve distanza da Nuceria Alfaterna.

La sua storia fino al 1806 è stata associata a quella di Cava de' Tirreni, di cui era frazione. Marina di Vietri, infatti, era usata dai monaci della Badia come porto commerciale per gli scambi soprattutto con le zone a Sud di Salerno, quelle della piana del Sele. Dal 1806 al 1860 è stato capoluogo dell'omonimo circondario appartenente al Distretto di Salerno del Regno delle Due Sicilie.

Dal 1860 al 1927, durante il Regno d'Italia è stato capoluogo dell'omonimo mandamento appartenente al Circondario di Salerno. Oggigiorno il comune subisce la forte influenza di Salerno, per cui vi sono progetti per inserire Vietri sul Mare nell'area metropolitana di questa città. Nel 1944, quando Salerno fu capitale d'Italia per alcuni mesi, il Re Vittorio Emanuele III alloggiò nella vicina Villa Guariglia, sita in frazione Raito.

I due fratelli, i faraglioni leggendari di Vietri sul Mare

Scoperta la piccola storia di Vietri sul Mare, in realtà c’è un’altra cosa da notare: il suo gonfalone. È dedicato ai “due fratelli” che, proprio come appaiono nello stemma cittadino, sono due faraglioni che si vedono da qualsiasi punto della città.

Questi scogli, come tutte le cose in Campania, sono legati a due leggende affascinanti. La più famosa risale ai tempi del Medioevo: quando Salerno era un principato indipendente, nell’anno 871 ci fu una ferocissima guerra contro i pirati saraceni: il principe Guaiferio IV, mentre la città era cinta d’assedio e stava capitolando, si recò personalmente dal capo dei saraceni per proporre una soluzione finale: il destino della città si sarebbe deciso con un duello fra il più bravo dei salernitani e il più forte dei saraceni. Il nemico fu d’accordo e scelse Rajan, un principe forte e spietato, che si sarebbe presentato il giorno seguente all’alba al di fuori delle porte di Salerno, dove oggi c’è la strada che porta a Vietri. Guaiferio invece chiamò Umfredo, conte dei Landolfi, che si disse pronto a sacrificare la sua vita in nome della città.

I due contendenti cominciarono a combattere con una violenza inaudita, senza risparmiare colpi. Arrivarono fino all’attuale Vietri finché, stremati, si accasciarono al suolo con tutti i vestiti laceri. Notarono che entrambi avevano lo stesso tatuaggio sul petto: “come fai ad avere lo stemma della mia famiglia?” Esclamò Umfredo. Rajan non seppe rispondere.

Poi il salernitano realizzò: “Sei mio fratello! Quello che i pirati rapirono tanti anni fa!“. Rajan lo guardò e disse: “Ti perdono, e perdonami anche tu. Che destino crudele per noi!“. I due si abbracciarono e scivolarono giù per la scogliera nel mare, trasformandosi nei due faraglioni di Vietri.

Un’altra leggenda, invece, è legata alle origini romane: sarebbero due pastori che morirono in mare per salvare la ninfa Roda, figlia di Poseidone.

Una città di ceramica tedesca e polacca

La produzione e la lavorazione della ceramica sono una caratteristica, non a caso, di Cava de’ Tirreni e di Vietri, che dimostra il legame strettissimo fra le due città. Si tratta di una tradizione che risale addirittura a 2500 anni fa, quando la città era un dominio Etrusco o Sannita sul mare. Le ceramiche le troviamo ovunque: come decorazione sui numeri civici delle strade; nei bagni, solitamente in cui domina il colore azzurro; nei negozi e addirittura sui campanelli delle porte di casa.

La cosa davvero insolita è che la ceramica di Vietri diventò conosciuta nel XX secolo come “la tedesca“, speciale per il suo particolare smalto e per le decorazioni dai colori vivaci, contrastati e dai fondali dai colori molto intensi.

Tutto cominciò nel periodo fascista, quando un imprenditore e artista tedesco, Richard Dolker, cominciò a collaborare con una fabbrica di ceramiche locale. Tornò in seguito in Germania, ma la voce dell’eccellenza di Vietri sul Mare si diffuse in tutto il Nord Europa e l’Italia, forte anche dell’alleanza fra i paesi dell’Asse, cominciò ad esportare numerosissime opere d’arte nel nord della Germania e nei territori occupati dai tedeschi. Allo stesso modo, con il clima antisemita crescente, l’Italia diventò una meta desiderata da molti ebrei che speravano di fuggire dalle persecuzioni naziste. Fu così che in città si trasferirono, negli anni ’30, maestri d’arte di origine ebrea che vivevano in Polonia e in Germania: Irene Kowaliska, Gunther Studermann o Margherita Thewalt sono nomi che oggi ci dicono poco, ma in passato erano famosissimi e vissero a Vietri fino alla fine della II Guerra Mondiale, quando lo sbarco americano e le rappresaglie tedesche cominciarono a rendere poco tranquilla anche la zona costiera. Non dimentichiamo che proprio a Vietri, infatti, venne a vivere Vittorio Emanuele III nel breve periodo di Regno del Sud con capitale Salerno. Nel suo periodo d’oro, Vietri contava ben 14 fabbriche di ceramica su un suolo cittadino di pochi chilometri quadrati e poco più di 8000 abitanti: cifre da record. Oggi questa storia è celebrata nel museo della ceramica.

Oggi la città è sopravvissuta alla speculazione edilizia con grande dignità, con le sue case piccole e graziose, il clima ventilato tipico della Costiera e quel mare dal colore smeraldo che solo la provincia di Salerno ci regala. Come un gioiello rarissimo da ammirare e custodire gelosamente.

L'asinello di Vietri: un animale simbolo dei popoli costieri

Ad accogliere i visitatori, proprio dinanzi al parcheggio pubblico nella parte superiore di Vietri, c’è un ciuccio azzurro. Niente a che vedere con quello del Napoli: l’asinello di Vietri è infatti il simbolo della città e, più in generale, dell’intera storia del popolo della Costiera. Eppure fu creato da un tedesco probabilmente ispirandosi all’animale sardo. 

Un aiutante del popolo costiero

Vivere in Costiera Amalfitana era uno splendido isolamento. D’altronde fu questa la ragione che portò alla nascita della stessa Amalfi: star lontani da conflitti e guerre che rendevano instabile la Campania del Medioevo, divisa fra Benevento, Salerno e Capua che si contrapponevano a Napoli, Sorrento e Gaeta. In mezzo, la Repubblica (poi Ducato) di Amalfi e tutte le cittadine protette dalle montagne che proprio non volevano avere niente a che fare con gli affari politici e militari del territorio continentale.

Questa vita marittima, però, doveva essere sposata con le esigenze quotidiane e con l’offerta di frutti ricchissima di una terra come quella campana. Proprio per questa ragione, nell’economia dei paesi costieri, l’asino aveva un ruolo privilegiato: grazie al carattere mansueto, alla capacità di carico straordinaria e alla resistenza fisica, era l’animale perfetto per aiutare i cittadini costieri a movimentare l’economia sul territorio, in special modo considerando che la Costiera Amalfitana si sviluppa su due livelli: uno è quello marino, l’altro è quello montuoso, con le decine di borghi che sorgono sulle montagne e, oggi, sono mete turistiche dai panorami mozzafiato. Su tutti, verrebbe da pensare a Ravello.

Ecco che quindi l’asino si trasforma nel mezzo di trasporto e di carico perfetto per tutte le esigenze e che, sin dai tempi del medioevo, ha accompagnato fedelmente il popolo costiero.

Una ceramica di Dolker con il tipico asinello di Vietri 

L’asinello di Vietri creato da Dölker

Questi retaggi antichi, che nei tempi moderni sembrano quasi persi nella Storia lontana, in realtà sono molto più recenti di quanto si pensi. Fu infatti un incontro fortuito nato grazie ad un artigiano tedesco, Richard Dölker, in viaggio in Italia. Si presentò dinanzi alla fabbrica Avallone presentandosi come pittore e, di buon grado, fu assunto dal titolare per dipingere le ceramiche con scene tradizionali vietresi. Nacque così, per destino, la storia della scuola tedesca di ceramica di Vietri.

Era il 1923 e fu affascinato dalla continua presenza di asinelli in tutti i paesi costieri d’Italia, essendo anche un assiduo frequentatore della Sardegna, famosa proprio per l’asino sardo. 

Dölker decise di omaggiare l’animale trasformandolo in una scultura di ceramica colorata di un insolito colore verde acqua, tipico del mare vietrese, e lo rese una presenza tipica in tutta la sua produzione artistica.

L’idea di trasformare l’asinello di Vietri in scultura non era affatto scontata all’epoca: era infatti in controtendenza rispetto ai classici leoni, cavalli rampanti e altri animali associati al successo e alla gloria.

E invece l’asinello di Vietri diventò subito il simbolo della città e di tutto il popolo della Costiera, tant’è vero che oggi, anche se gli asinelli veri sono spariti, quello in ceramica è rimasto nelle vetrine di tutti quei negozi di ceramica che ancora oggi rendono Vietri una capitale dell’artigianato tradizionale. Un compagno del tempo passato che si è trasformato nel protagonista di una città.

Richard Dolker nel suo studio 

Chiesa di San Giovanni Battista

La chiesa di San Giovanni Battista è un edificio di culto cattolico in stile tardo-rinascimentale napoletano di Vietri sul Mare.

Storia

La chiesa sorge ove già nel 1036 sorgeva un edificio di culto denominato San Giovanni de Staffilo, che nel XIV secolo divenne chiesa parrocchiale. L'edificio subì numerosi rifacimenti e l'impianto attuale risale al XVII secolo. Agli inizi del XVII fu innalzata, sulla crociera del transetto, l'attuale cupola, ricoperta nel 1902 con embrici maiolicati di produzione locale.

Descrizione

La chiesa ha pianta a croce latina, orientata a est, con campanile sito sulla sinistra della facciata. Il disegno di quest'ultima, di stile tardo-rinascimentale riconducibile alla scuola del Mormando, è opera del cavense Matteo Vitale, cui fu affidato nel 1617. Il basamento è in pietra chiara di piperno, al centro il portale è delimitato da due colonne in tufo nero di Fiano. Il portale è sormontato da un oculo chiuso nella seconda meta del XX secolo per inserire una figura del Santo patrono dipinto su ceramica.

Interno della chiesa

L'interno è a una sola navata. Gli altari sono decorati da maioliche e ceramiche tranne quello maggiore, realizzato in marmi commessi.

La pala d'altare risale al 1732 e rappresenta la Vergine con san Giovanni e santa Irene, opera del pittore di Vetri, Pietro De Rosa. Di particolare pregio il polittico della Madonna del Latte, del XVI secolo, che raffigura la Madonna in trono che allatta il Bambino, dipinta su sfondo dorato; due pannelli laterali rappresentano san Giovanni Battista e sant'Andrea.

Il campanile, alto 36,5 metri, si eleva in sei ordini: i quattro inferiori a base quadrata sostengono i due superiori a base esagonale, sormontati da un cupolino maiolicato.

POLITICO DELLA MADONNA LATTANTE E SANTI

L'opera pittorica più importante che possiede la chiesa è formata da una pala centrale e due pannelli laterali sormontati da una cimasa e da due lunette; l'elemento inferiore è costituito da una predella.

Sulla tavola centrale é raffigurata la Madonna in trono che allatta il Bambino, dipinta con la tecnica a tempera grassa precorritrice dell'olio con fondo a foglia d'oro con baldacchino damascato. Sui pannelli laterali sono rappresentati San Giovanni Battista e in alto separato a motivo architettonico a cornice S. Pietro a mezzo busto, dall'altro vi è raffigurato S. Andrea con alle spalle la croce decussata, sormontato dall'apostolo Paolo. Sulle due lunette sono raffigurati l'angelo Gabriele e la Vergine Annunziata. Sulla cimosa è dipinta una deposizione dalla croce con la Madonna. 

S.Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista. Al centro della predella il volto del Cristo impresso sul velo della Veronica, ed ai lati gli apostoli. Ogni campo pittorico è incorniciato da elementi architettonici costituiti da lesene con decorazioni fitomorfe a rilievo e capitello corinzio e da cornicioni con gli stessi motivi, bordati da dentilli e da una modanatura. L'opera non è firmata, per cui gli storici dell'arte hanno dovuto procedere all'attribuzione, seguendone le analogie stilistiche con altri polittici coevi esistenti in provincia e in regione, le ipotesi più accreditate sono: Cristofaro Scacco; Andrea a Salerno o il "Maestro dei polittici francescani". Anche il polittico, come la croce, secondo la tradizione proveniva da San Giovanni a mare.

CAPPELLA MADONNA DELLA LETTERA

Dipinto ad olio su tela di canapa (200x150), che segue un tipico impianto bizantino: rappresenta la Vergine, detta anche della Lettera e venerata in Messina, con il volto scuro con capo inclinato sulla spalla sinistra; indossa un ampio mantello azzurro. In braccio sostiene il Bambino che regge nella mano sinistra il globo, simbolo di regalità; sull'aureola della Madonna è scritto: "Regina coeli laetare alleluia" Il dipinto per l'iconografia dei volti, l'impianto figurativo, è da ascrivere a suggestioni toscane del Quattrocento, filtrate attraverso una sensibilità pittorica vicine alla icone bizantine, frequenti nel sud dell'Italia. L'iscrizione sulla fascia inferiore abrasa in varie parti. È (secondo tradizione) la sacra lettera che Maria SS: scrisse ai messinesi. L'opera fortemente degradata è stata sottoposta a restauro nel 1993 Tracce di foglia d'oro ritrovate nel corso del restauro la fanno assomigliare ad un dipinto su tavola. La datazione è incerta; c'è da tener presente che la signora Barbara Giarrella nel 1732, all'atto della donazione, lo definiva "quadro antico dipinto da insigne pittore".


La pia tradizione, narrata e confermata dai più illustri storici locali nei vari secoli, in particolare a partire dal Bonfiglio e Costanzo, racconta che intorno al 42 d. C. Paolo di Tarso, l'Apostolo delle Genti, durante il viaggio che lo condusse in catene a Roma, dopo il famoso naufragio a largo di Malta e prima del suo approdo a Reggio come raccontano gli Atti degli Apostoli, fece una sosta a Messina. In questi luoghi egli poté parlare ad un certo numero di abitanti dell'antica Zancle, grazie probabilmente ad un nucleo cristiano già presente. Egli raccontò la vita, le opere e la buona novella di Gesù di Nazaret, senza dimenticarsi di sua Madre la Vergine Maria, ancora vivente in Terra Santa

CAPPELLA S. CATERINA D'ALESSANDRIA V. e M.

Cappella di diritto patronato della famiglia Taiani. Tela dedicata a S. Caterina d'Alessandria V.e M. Il dipinto databile al XVIII sec. di autore ignoto raffigura la Santa inginocchiata su un palco di assi di legno che riceve dall'angelo la Palma del Martirio, accanto le ruote, strumento del martirio un attimo dopo che un fulmine è giunto a liberarla dalla tortura, intorno ed in basso i suoi carnefici storditi ed impauriti. 

I testi della letteratura popolare parlano di Caterina come una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili, abitante ad Alessandria d'Egitto. Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria. Per l'occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi. Caterina però invita Massimino a riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità e rifiuta il sacrificio. Non riuscendo a convincere la giovane a venerare gli dèi, Massimino propone a Caterina il matrimonio. Al rifiuto della giovane il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo. Sarà un miracolo a salvare la ragazza che verrà però decapitata. Secondo la leggenda degli angeli porteranno miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l'altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo sarebbe avvenuto nel novembre 305.

In alto, ed al centro della cornice che racchiude il quadro su di una piastra di stucco vi era impresso lo stemma della famiglia che il tempo ha cancellato.

Acquasantiera

Opera del 1667 di marmo di porfido siciliano. Costituita da un'ampia vasca sorretta da un pilastro alla cui base è inciso lo stemma della famiglia De Simone.