Atrani

La Storia

Atrani

Le origini di Atrani sono ancora oggi sconosciute. Ricerche archeologiche hanno stabilito che nel I secolo d.C. lungo la Costa d'Amalfi esistevano delle ville romane, le quali furono, però, coperte dal materiale che, eruttato dal Vesuvio nel 79 d.C., si era depositato sui monti circostanti e da lì, in seguito, era franato a valle. Nel V secolo d.C., a seguito delle invasioni barbariche, numerosi romani fuggiti dalle città si rifugiarono prima sui Monti Lattari e successivamente, lungo le coste, ove crearono insediamenti stabili. La prima prova documentale dell'esistenza di Atrani è rappresentata da una lettera del papa Gregorio Magno al vescovo Pimenio datata 596.

Il Ducato di Amalfi si estendeva da Cetara a Positano comprendendo anche Agerola, Pimonte, Lettere, Capri e l'arcipelago delle Sirenuse (Li Galli). All'interno di questo territorio Atrani era un borgo che si fregiava del titolo di città, città gemellata di Amalfi e sede dell'aristocrazia. Ivi risiedevano: i Pantaleoni (la famiglia più ricca e potente di Amalfi); gli Alagno; i Comite Mauro; i Comite Iane; gli Augustariccio; i Viarecta. I suoi abitanti conservavano identità di Atranesi, a differenza di tutti gli altri abitanti del Ducato che erano denominati Amalfitani.

Solo agli amalfitani e agli atranesi era riservato il diritto di eleggere o deporre i capi del Ducato. Amalfi fu governata dapprima da conti, poi da prefetti, quindi da giudici ed infine da duchi (e non da dogi come erroneamente si dice). Il duca concentrava nella sua persona sia il potere civile che quello militare. Simbolo della sua potestà era un copricapo, il “Birecto”, di cui i duchi venivano insigniti nella cappella palatina del San Salvatore de Birecto di Atrani.

Il borgo di Atrani era più esteso di quello attuale e protetto sui confini da imponenti fortificazioni. Si estendeva fino a Castiglione (oggi frazione del comune di Ravello), così chiamata da castellio, un grande castello situato sul promontorio ove oggi sorge la Collegiata di Santa Maria Maddalena Penitente. In località Civita era invece situato il Castello di Supramonte, distrutto dagli attacchi dei pisani tra il 1135 e il 1137. Vi era poi la torre costiera del “"Tumulo" o di "San Francesco", costruita nel 500 ad opera di don Parafan de Ribera per difendersi dai Turchi che, dopo la sconfitta della flotta cristiana a Gerbe presso Tunisi, infestavano il litorale.

Gli atranesi collaborarono allo sviluppo economico-sociale del ducato. Rilevanti erano i pastifici e le fabbriche di tessuti che producevano sajette e drappi preziosi, per i quali gli atranesi detennero il vanto tra i centri della costiera. Essi furono particolarmente attivi nella zona orientale extra-ducato: a Paestum, a Cava de' Tirreni e a Vietri sul Mare.

Nel 987 Amalfi fu promossa a rango di arcidiocesi da papa Giovanni XV. Il primo arcivescovo fu l'atranese Leone di Sergio di Urso Comite.

Ad Atrani era fiorente la vita religiosa: circa trecento erano le chiese e le cappelle private. Il Monte Maggiore (oggi Monte Aureo) ospitava sei cenobi, i più antichi del Ducato.

Il maremoto del 24 settembre 1343 (di cui ha lasciato un'efficace descrizione il Petrarca in una nota epistola delle “Epistole Familiari”) sommerse buona parte del litorale e pose fine allo splendore di Amalfi e di Atrani, già provate dalle continue incursioni dei pisani del XII secolo. Negli anni che seguirono, le sorti di Atrani furono legate a quelle di Amalfi, il cui ducato, oramai decaduto, venne inglobato nel principato di Salerno.

Nella seconda metà del 1100, Manfredi, per punire gli atranesi per essersi schierati a favore del papa nella lotta tra papato ed impero, inviò contro di loro 1000 marinai alessandrini. Gli atranesi fuggirono ad Amalfi e i mercenari si stabilirono nel borgo che abbandonarono soltanto molti anni dopo (evento attribuito all'intercessione di Santa Maria Maddalena a cui gli atranesi si erano votati). Dell'occupazione rimangono tracce, ancora oggi, nella cadenza ed in alcune parole del dialetto locale.

Nel 1647, braccato dai soldati del viceré di Napoli, fece ritorno ad Atrani Masaniello, per nascondersi in quella che da allora viene chiamata “Grotta di Masaniello”, una cavità poco distante dalla casa materna dell'eroe. Nato a Napoli nel 1620 Tommaso Aniello d'Amalfi, detto Masaniello, figlio di Francesco d'Amalfi ed Antonia Gargano di Atrani, di mestiere faceva il pescivendolo, ma era noto in piazza del Mercato a Napoli per la sua abilità di contrabbandiere reale per il quale fu imprigionato insieme alla moglie. Uscito di galera per nulla domato, il 7 luglio 1647 Masaniello insieme a Giulio Genoino fu a capo della "rivolta dei fichi" (scoppiata per protesta contro il rincaro dei dazi sulla frutta e sui principali prodotti agricoli). La rivolta da Napoli si estese a tutto il regno.

Venne proclamata la Real Repubblica sotto la protezione della Francia e Masaniello fu acclamato “Capitano generale del popolo Napolitano”. Il potere gli diede alla testa e si abbandonò ad una serie di eccessi che lo resero inviso dal popolo. Il 16 luglio 1647 cadde vittima di una congiura: il cadavere decapitato, e la testa su di un palo, fu portata in trionfo per le vie della città. La Real Repubblica resistette fino all'aprile successivo, poi soccombette agli spagnoli. Nel 1643 la Grande Peste miete numerose vittime anche ad Atrani. Negli anni che seguono non si registrarono nel borgo eventi particolari fino al 22 giugno 1807, data in cui Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, si recò in visita ufficiale in Costiera Amalfitana. Colpito dalle bellezze del luogo e da Amalfi ed Atrani in particolare, promise di far costruire una strada che rendesse più facile l'accesso al Regno dei paesi della Costiera. Tale strada fu realizzata però per iniziativa di Gioacchino Murat a partire dal 1816, ma terminata solo nel 1854.


Alluvione del 2010

Il 9 settembre 2010, in seguito ad una violentissima alluvione, il fiume Dragone rompe gli argini ed esonda, invadendo la stradina principale della città. Colmo di fango, travolge tutto ciò che lo ostacola, compresa la giovane Francesca Mansi, il cui cadavere verrà ritrovato in mare solo il 2 ottobre 2010 nei pressi delle isole Eolie.

Monumenti e luoghi d'interesse

Collegiata di Santa Maria Maddalena Penitente

Il culto di Santa Maria Maddalena ad Atrani secondo gli studi più recenti, risulta risalire alla prima metà del XII secolo, mentre la Collegiata dedicata alla Santa, fu eretta nel 1274 sui ruderi di un fortilizio medievale per iniziativa degli Atranesi, che vollero così ringraziare la propria Patrona per averli liberati dall'insediamento, nella città, da un manipolo di marinai alessandrini inviati da Manfredi il Normanno intorno al 1100: i marinai erano giunti nel paese per punire gli Atranesi, rei di essersi schierati con il Papa, nella lotta tra papato e impero.

Nel corso del tempo la chiesa ha subito notevoli interventi di restauro.

Nel 1570, degradata ed in condizioni statiche molto precarie, fu sistemata grazie a fondi reperiti con particolari imposte sull'importazione di grano e sull'esportazione di manufatti. L'edificio subì un secondo intervento quasi un secolo più tardi, precisamente nel 1669. In quell'occasione fu riparata anche la sagrestia che fu munita di un contrafforte esterno. La Chiesa eretta a Collegiata il 14 Aprile del 1706 con bolla del Papa Clemente XI, a causa della popolazione ormai accresciuta, venne ingrandita ed abbellita nel 1753 mediante elargizioni di privati cittadini, oltre al contributo del reggimento municipale. Fu proprio in occasione di questi lavori che il fortilizio venne definitivamente abbattuto al fine di recuperare lo spazio necessario all'ampliamento.

In epoca recente fu rimodernata dall'architetto Lorenzo Casalbore di Salerno.

Il tempio ha la particolarità di essere fornito di due transetti di cui, uno è coperto con volte rivestite esternamente di maioliche, l'altro invece ha una copertura piana. Tra le numerose statue, collocate nelle diverse cappelline laterali, e le tele sette/ottocentesche spiccano: La Madonna pastorella (preziosa scultura del 1789); L'Incredulità di San Tommaso (opera dell'artista cinquecentesco salernitano Andrea Sabatini).

La facciata della chiesa viene ritenuta «l'unico esempio di Rococò sulla Costa d'Amalfi» (Schiavo).

Dalla terrazza della sagrestia (sempre secondo lo Schiavo) si domina il golfo di Salerno come dal Belvedere di Villa Cimbrone (Ravello). Infine, lo svettante campanile, con il suo tufo bruno, si erge imponente ed altissimo. I festeggiamenti in onore di Santa Maria Maddalena protettrice di Atrani che, si tengono ogni 22 Luglio, si sono arricchiti a partire dal 2016 di importanti novità per l’intera Comunità Parrocchiale. Infatti, con lo scopo di restituire al Popolo Atranese il proprio patrimonio storico, culturale e religioso, è stato riaperto dopo svariati anni ad opera del Comitato Festeggiamenti, uno stipo blindato all’interno della Chiesa Collegiata di Atrani, che ha riportato alla luce oltre ad oggetti sacri e di valore, soprattutto le Sante Reliquie della Patrona, consistenti in filamenti di Capelli, alcuni Resti Ossei, brandelli del Camice ed un frammento della Santa Croce di Gesù.

Attraverso studi e ricerche nell’ Archivio Storico della Collegiata che, comunque continuano incessanti, sono state così recuperate, a coronamento degli sforzi fatti, le antiche Attestazioni e Certificazioni di Autenticità che hanno confermato la veridicità dei nobili ritrovamenti. Si è riusciti inoltre a riportare alla luce anche un’ Opera Lirica in tre atti, per secoli considerata perduta, intitolata: “Dalla Morte Alla Vita Di Maria Maddalena”, che gli Atranesi nel 1722 in onore della propria Patrona, commissionarono al grande Musicista di San Vito dei Normanni e di Scuola Napoletana: Leonardo Leo (il raro ed unico manoscritto ritrovato presso un antiquario di Parigi, è custodito presso il Centro Studi e Documentazioni Leonardo Leo di San Vito dei Normanni). Intanto, dopo la realizzazione di svariate misure di sicurezza ad opera dello stesso Comitato Festeggiamenti, i piccoli ma preziosi resti della Santa sono stati finalmente riesposti a fianco dell’antica Statua, al cospetto di tutta la Popolazione e di quanti volessero recarsi sul posto a pregare.


La chiesa di San Salvatore de' Birecto

Costruita nel X secolo, la chiesa ha pianta quadrata con pronao antistante ed è suddivisa in tre navate con volte a botte. In origine era orientata ad ovest (con ingresso in Via Arte della Lana). In epoca barocca venne realizzata l'attuale facciata con l'orologio, la scalinata e l'atrio. Al tempo della Repubblica di Amalfi la chiesa era la cappella palatina dove venivano incoronati i duchi e dove si depositavano le loro ceneri.

Le testimonianze più antiche sono: una pietra tombale del XIV secolo raffigurante la nobil dama atranese Filippa Napolitano; una lastra marmorea del XII secolo raffigurante due pavoni. Il pavone, sacro a Giunone, era venerato da molti popoli orientali: in quanto simbolo della vanità e dell'orgoglio, ben rappresentava le qualità preponderanti nei nobili di Amalfi; era però anche simbolo di resurrezione; le porte di bronzo, realizzate nel 1087, donate alla chiesa dal nobile atranese Pantaleone Viarecta, lo stesso che aveva inviato vent'anni prima la porta del Duomo amalfitano. Suddivise in formelle di pregevole valore artistico, contengono l'effigie di Cristo, quella della Madonna e di alcuni Santi. Attualmente sono custodite presso la chiesa di Santa Maria Maddalena.

Chiesa dell'Immacolata

Attigua alla chiesa di San Salvatore de Birecto, essa è costituita da un'unica navata con volta a botte. Curiosamente l'altare principale, in marmi policromi, è rivolto ad ovest, contrariamente al modello medievale. Incastonata nel muro vi è un'urna cineraria romana adibita a serbatoio d'acqua. Originariamente le porte di bronzo della chiesa di San Salvatore de' Birecto erano destinate ad essa.

Chiesa di San Michele Arcangelo ("Camposantino")

Detta San Michele Fuori le Mura, perché situata all'esterno dell'antica cinta muraria della città, in prossimità della Porta Nord, al confine con Ravello. Fu costruita tra l'XI e il XII secolo (Salazaro), ricavandola da una cavità dal monte Civita. Vi si accede tramite una rampa di scale alla cui sommità è posto il campanile, sotto cui passa la via pedonale. L'interno della chiesa, di forma trapezoidale, mostra le pareti inclinate della roccia, occupate in lunghezza da tombe. La chiesa infatti era adibita a cimitero (fino al 1927) e fu una vera e propria fossa comune in occasione della pestilenza del 1656. Sull'altare, di stile barocco, è collocato un dipinto del Cretella datato 1930, raffigurante il Santo Guerriero. Alla sinistra dell'altare, una scala conduce ad una piccola cappella, molto simile alla III cappella della badia di Santa Maria Oleari (Maiori).

Torre dello Ziro

La fortezza situata sul Monte Aureo, sovrasta le città di Amalfi e di Atrani e sorge sul territorio di Scala. Non si conosce la data certa di costruzione, ma l'impronta aragonese fa pensare al XV secolo. La torre risulta priva di entrate e si suppone che per accedervi si usassero delle scale levatoie. La struttura, fiancheggiata da bastioni e torrette, era in comunicazione con un altro castello posto a settentrione, nei pressi di Pontone. I ruderi di detto castello ancora oggi si possono vedere. Il nome Ziro deriverebbe: da Siri, cioè dei serbatoi scavati nel terreno e chiusi ermeticamente, di cui era dotata la torre; da San Salvatore de Ciro, che era un insediamento eremitico rupestre ubicato sotto la torre.

La fama della costruzione è legata alla vicenda di Giovanna la Pazza: Giovanna d'Aragona era figlia illegittima di Enrico, figlio a sua volta illegittimo di Ferdinando I d'Aragona. A dodici anni, nel 1490, si sposò con Alfonso Piccolomini, duca di Amalfi, che, ne 1498, la lasciò vedova e madre di due figli alla guida del ducato, che in quel tempo versava in cattive condizioni finanziarie. La giovane donna rimise in sesto il ducato e contro la volontà dei fratelli sposò Antonio Bologna, suo maggiordomo, con il quale visse una travolgente storia d'amore sulla cui intensità abbondano le cronache del tempo. I fratelli s'impegnarono a reprimere lo scandalo e, dopo alterne vicende e rocambolesche fughe, imprigionarono Giovanna (oramai soprannominata la Pazza) ed i suoi bambini nella Torre dello Ziro. Qui furono lasciati morire di fame o, secondo cronache più accreditate, sgozzati mentre il Bologna fu fatto pugnalare per mano di sicari. Tali eventi ispirarono a Matteo Bandello la XXIV delle sue novelle dalla quale poi furono tratte due tragedie: The duchess of Amalfi di John Febster e El Mayordomo de la Duquesa de Amalfi di Felipe Lope de Vega.

Chiesa della Madonna del Carmine

Costruita nel 1601 su iniziativa di Scipione Cretella e Giambattista Vollaro, la chiesa presenta una facciata alquanto semplice; pregevole risulta invece il campanile realizzato in stile moresco. L'interno, decorato in stile Barocco, è costituito da un'unica navata con volte a botte. Sull'altare è collocato un affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna, che la tradizione vuole derivante da un'edicola che sorgeva al posto della chiesa. L'edificio custodisce un presepe settecentesco, allestito durante le festività natalizie, i cui personaggi sono fedeli riproduzioni di uomini e donne atranesi dell'epoca. La collocazione e la grandezza delle statuine sono direttamente proporzionali al censo del rappresentato: erano infatti gli stessi cittadini a commissionare e pagare i personaggi. Vi erano poi i popolani che, anche se nullatenenti, occupavano un posto preminente nella rappresentazione: Catolla, Puparuolo, etc…., erano i loro nomi.

Grotta e casa di Masaniello

In questa grotta la tradizione vuole che vi sia rifugiato per qualche tempo Masaniello, braccato dai soldati del viceré di Napoli. Storicamente accertato, invece, che la casa poco distante apparteneva alla famiglia materna di Masaniello, che quindi era per metà atranese.

Chiesa di Santa Maria del Bando

Edificata nel X secolo in cima al monte Aureo. In seguito a restauri, eseguiti tra il XII ed il XIII secolo, presenta motivi decorativi tipici di quell'epoca. La chiesa è ad aula unica con una piccola sagrestia. Il pavimento messo in opera nel XIX secolo, è in maioliche quadrate a motivi geometrici, proveniente dalla collegiata di Santa Maria Maddalena. La chiesa è chiamata così perché la leggenda tramanda che la Vergine concesse la grazia ad un uomo, bandito ingiustamente e condannato all'impiccagione. L'episodio è ritratto nell'affresco quattrocentesco che sormonta l'altare, dove sono raffigurati la Madonna col Bambino e, sul lato sinistro, un uomo in procinto di essere impiccato. Secondo un'altra versione, il nome deriva dal fatto che da quell'alta rupe, grazie ad un'acustica particolare, venivano banditi al popolo i nomi degli eletti al ducato.

All'interno dell'edificio è conservata un'urna cineraria di marmo bianco, risalente agli anni della dinastia Giulio-Claudia, appartenuta ad un liberto di Claudio o di Nerone. L'epigrafe dell'urna testimonia l'affrancamento che un liberto imperiale concedeva ad una donna che, di conseguenza, assumeva il gentilizio della casa regnante divenendo, spesso, moglie del suo padrone (usanza particolarmente frequente nel periodo tra Augusto e Marco Aurelio).

Grotta dei Santi

Al di sotto e poco distante dalla Torre dello Ziro troviamo la Grotta dei Santi. Una piccola cavità naturale, che si apre su un terrazzamento coltivato a limoni, dal perimetro di un quadrilatero irregolare e dalle pareti decorate da affreschi in stile bizantino, risalenti al XII secolo e raffiguranti i 4 Evangelisti. Tale grotta è quello che rimane del monastero benedettino maschile dei Santi Quirico e Giulitta, fondato nel 986 dall'arcivescovo Leone I.

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