Amalfi

La storia di Amalfi

La sua fondazione viene fatta risalire ai Romani (il suo stemma reca la scritta Descendit ex patribus romanorum). A partire dal IX secolo, prima (in ordine cronologico) fra le repubbliche marinare, rivaleggiò con Pisa, Venezia e Genova per il controllo del Mar Mediterraneo.

Il Codice Marittimo di Amalfi, meglio noto col nome di Tavole amalfitane, ebbe una grande influenza fino al XVII secolo.

Amalfi raggiunse il proprio massimo splendore nell'XI secolo, dopodiché iniziò una rapida decadenza: nel 1131 fu conquistata dai Normanni di Ruggiero II d'Altavilla re di Sicilia e allora il suo dominio comprendeva, tra l'altro, i territori e castelli di Guallo, Trivento, Capri, Ravello, Scala, Fratta, Gerula e Pogerula (Alessandro di Telese, De rebus gestis Rogerii Siciliae regis. L. II, capp. VIII-XI). 

Nel 1135 e 1137 fu saccheggiata dai pisani e nel 1343, poi, una tempesta con conseguente maremoto distrusse gran parte della città.

Per tradizione, ogni anno un equipaggio di vogatori amalfitani partecipa alla Regata delle Antiche Repubbliche Marinare, sfidando gli armi delle città di Genova, Pisa e Venezia.

Per un errore di interpretazione di un testo latino, che riferiva invece che l'invenzione della bussola era attribuita dallo storico Flavio Biondo agli Amalfitani, il filologo Giambattista Pio sostenne che la bussola fosse stata inventata dall'amalfitano Flavio Gioia. Nel testo in questione (Amalphi in Campania veteri magnetis usus inventus a Flavio traditur), tuttavia, non bisogna intendere Flavio come l'inventore della bussola, ma solo come colui che ha riportato la notizia: appunto Flavio Biondo. Tuttavia i navigatori amalfitani potrebbero essere stati tra i primi ad usare quello strumento. "Un'antica tradizione amalfitana si riferisce, invece, ad un certo Giovanni Gioia quale inventore dello strumento marinaro".

Particolarmente fiorente nella storia della città e viva in due cartiere residue sulle molte presenti ed ormai in rovina, è l'industria cartaria, legata alla produzione della pregiata carta di Amalfi. In città infatti è possibile visitare il Museo della Carta di Amalfi.

Il Duomo

La cattedrale di Sant'Andrea è il principale luogo di culto cattolico di Amalfi, sede vescovile dell'Arcidiocesi di Amalfi-Cava de' Tirreni. Dedicato a sant'Andrea apostolo, si trova in piazza Duomo, nel centro della città.

Secondo una leggenda, san Francesco d'Assisi si recò nel 1218 in questo edificio per venerare le reliquie dell'apostolo ivi custodite e rimase in città per due anni. In tale occasione fondò il convento di Santa Maria degli Angeli, poi dedicato a Sant'Antonio.

La cattedrale fu fatta costruire dal duca Mansone I a partire dall'anno 987 accanto a quella del IX secolo. In quei tempi i due luoghi di culto venivano ad essere officiati contemporaneamente come avveniva in tutte le chiese paleocristiane della Campania.

Ben presto le due chiese, entrambe a tre navate, furono unite e formarono così un'unica chiesa in stile romanico a sei navate (già dal 1176 l'edificio più antico è menzionato come semplice navata della cattedrale). A partire dal 1266 le navate si ridussero a cinque a seguito dell'abbattimento della navata sinistra della chiesa più antica per consentire la costruzione del chiostro del Paradiso.

Nel periodo successivo alla controriforma i due originari edifici sacri tornarono ad essere distinti e quello più antico divenne la basilica del Crocifisso. Ulteriori interventi avvennero tra il XVI secolo e il XVIII secolo.

Il 24 dicembre 1861 sotto l'azione di un forte vento, un tratto del coronamento della facciata, in cattivo stato di conservazione, cadde sfondando una o due volte del sottostante atrio. Tale accadimento, grazie al parere favorevole al restauro stilistico della Giunta delle Belle Arti ha fatto sì che, nonostante il danno fosse leggero, le stratificazioni sulla facciata (dell'epoca rinascimentale, barocco, ecc.) siano state cancellate, ricostruendola secondo lo stile dell'architetto Lorenzo Casalbore, che demolì il portico, i capitelli, le cornici, lo stesso intonaco e le basi e le paraste del Settecento, messe in opera da Arcangelo Guglielmelli al fine di riprodurre l'originario stile della chiesa. La rimozione dell'evento dalla memoria collettiva degli amalfitani contribuì a fortificare la tesi che mise in atto il sindaco del paese Salvatore Amatruda per giustificare questo "rinnovamento" della facciata, ovvero che la chiesa era, quasi del tutto, crollata. Alcune fonti scritte, probabilmente appartenenti agli esperti di restauro che furono nominati dalla Giunta delle Belle Arti, dicono: "Se questo ragguardevole monumento fosse liberato e svestito dalle sovrapposizioni barocche che in tempo più vicino a noi lo hanno deturpato e travisato, presenterebbe una singolare novità di stile, così nell'insieme della sua struttura, come nelle decorazioni veramente stupende. Intanto è opera certamente lodevole il poter ridare a questo monumento almeno l'antico aspetto nella parte che riguarda la fronte esterna".

Esterno

La facciata attuale è stata costruita nel XIX secolo da Errico Alvino coadiuvato da un'élite di discreti architetti; la riedificazione è avvenuta dopo il presunto crollo di quella originale. Il progetto dell'Alvino si presenta con una facciata neomoresca, con influenze neogotiche, preceduta da un atrio che collega il campanile, il chiostro del Paradiso e la chiesa del Crocifisso.

Il campanile della cattedrale di Sant'Andrea sarebbe stato costruito tra il 1108 e il 1276 (nell'ultima parte del XII secolo sarebbe state edificata la torre, mentre il torrino di coronamento, adibito a cella campanaria, sarebbe stato realizzato solo a partire dalla metà del secolo successivo). Vi è un utilizzo di slanciate polifore (bifore nel primo ordine e trifore nel secondo) e nell'articolato cupolino, completato negli stessi anni di quello del campanile del duomo di Gaeta e anche qui affiancato da quattro torrette a pianta circolare; spicca, però, la notevole policromia di quest'ultimo, con smaltature verdi e gialle, più marcata che a Gaeta.

Interno

Il portale maggiore presenta una lunetta, che racchiude al suo interno un affresco di Domenico Morelli e Paolo Vetri, ed una porta in bronzo, fusa a Costantinopoli.

L'interno, rimaneggiato in forme barocche, ha una pianta basilicale con transetto e abside; il tutto è rivestito da marmi commessi e racchiudenti colonne antiche. Le navate sono coperte da un soffitto a cassettoni. Sull'altare maggiore barocco si trova una grande tela raffigurante La crocifissione di sant'Andrea Apostolo, copia da Mattia Preti (basilica di Sant'Andrea della Valle), forse realizzata da un pittore del posto. Su quello postconciliare, invece, si trova un moderno Crocifisso ligneo dipinto.

Nelle cappelle sono conservate opere di arte gotica e rinascimentale. In una cappella si trova un gruppo ligneo raffigurante l'Apparizione di san Michele Arcangelo a san Fedele e sotto la tomba del santo martire. Sul soffitto, adornato da fregi aurei, si trovano le Storie di Sant'Andrea. Nella navata sinistra, si trova la statua reliquiaria cinquecentesca del patrono e quelle del Cristo morto e dell'Addolorata. In fondo alla stessa navata, nella Cappella della Riconciliazione, è ubicata la reliquia del capo di sant'Andrea. 

In sagrestia si trova la statua processionale settecentesca del santo patrono, chiusa in un armadio, detto stipo dagli amalfitani.

Nella cattedrale si trova l'organo a canne Mascioni opus 835; si articola in due corpi (l'uno in controfacciata, l'altro entro cassa antica dirimpetto alla cattedra), è a trasmissione elettrica e dispone di 40 registri su tre manuali e pedale.

Croce di madreperla

Croce di madreperla

Dal basso:

Donata da Gerusalemme del 1800

Cripta

La cripta, edificata sulla tomba del santo patrono, è adornata da pregevoli affreschi, il maggiore dei quali rappresenta L'arrivo del corpo di Sant'Andrea nella cattedrale di Amalfi. Sull'altare si trovano la statua bronzea di Sant'Andrea di Michelangelo Naccherino, quella marmorea di San Lorenzo di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo e quella di S. Stefano di uno scultore locale.

Museo Diocesano e Chiostro del Paradiso

Il Museo diocesano di Amalfi si trova accanto al duomo in salita Episcopio. Esso è parte integrante del complesso monumentale cattedralizio e l'accesso avviene attraverso il chiostro del Paradiso.

La basilica del Crocifisso

L'abside col crocifisso trecentesco 

Particolare della parete sinistra 

La basilica venne costruita nel IX secolo, probabilmente prima dell'833, sui resti di una chiesa paleocristiana del VI secolo e venne dedicata alla Madonna Assunta e ai santi Cosma e Damiano: entrambi gli edifici di culto svolsero consecutivamente la funzione di cattedrale.                                                                                                                                                                   

Quando a partire dal 987 fu costruita la nuova cattedrale, le due chiese, entrambe a tre navate, furono unite e formarono così un'unica chiesa in stile romanico a sei navate (già dal 1176 l'attuale basilica del Crocifisso è menzionata come semplice navata della cattedrale).  A partire dal 1266 le navate si ridussero a cinque a seguito dell'abbattimento della navata sinistra della chiesa più antica per consentire la costruzione del chiostro del Paradiso.

Nel periodo successivo alla controriforma, la chiesa, che nel frattempo era stata rivestita da marmi e da stucchi in stile barocco, tornò ad essere distinta rispetto alla cattedrale ed assunse l'attuale dedicazione al Santissimo Crocifisso a seguito della presenza di un crocifisso ligneo trecentesco sull'altare maggiore (ancora oggi il crocifisso si trova nell'abside).

La separazione delle due chiese causò alla basilica la perdita o comunque la riduzione della navata destra che prima fungeva da passaggio tra le due visto che su entrambi i lati del nuovo muro divisorio vennero realizzate cappelle.

A partire dal 1931 venne intrapreso un restauro in stile volto ad eliminare la veste seicentesca dell'edificio riportando così in evidenza parti della originaria struttura medievale.

In una nicchia che si apre nella parete sinistra della navata maggiore, a pavimento, si trova l'organo a canne Serassi opus 716, costruito nel 1871 per la cripta della cattedrale di Sant'Andrea; dispone di 16 registri ed è a trasmissione integralmente meccanica.

Il Chiostro del Paradiso

Il chiostro venne edificato tra il 1266 e il 1268 dall'arcivescovo Filippo Augustariccio (1258 - 1291 circa), come cimitero nobiliare ed infatti col termine paradiso nel medioevo si indicava proprio un luogo di sepoltura con chiostro circondato da un porticato vicino ad una importante chiesa (nello specifico il Duomo di Amalfi).                                                       

Dopo essere caduto pressoché in abbandono nel XVII secolo, venne restaurato nel 1908 ed aperto al pubblico.

Esso è costituito da un quadriportico con archi a sesto acuto intrecciati, tipici dell'arte arabo-normanna, e sorretti da sessanta coppie di colonnine binate con capitelli a stampella. Sul lato meridionale del portico sono presenti sei cappelle funerarie affrescate realizzate tra la fine del '200 e gli inizi del secolo successivo.

Organizzazione

L'itinerario museale si sviluppa in quattro sezioni espositive:


Sezione I - Chiostro

Lungo le gallerie del chiostro, sono conservate opere provenienti dalla cattedrale, tra cui spiccano:

Sezione II - Dipinti murali

La sezione presenta, nel chiostro e nella Basilica, i dipinti murali ad affresco già precedentemente in loco, databili tra il XIII e il XIV secolo, raffiguranti:

nel chiostro: 

nella Basilica:

Crocifissione (attribuita a Roberto d'Oderisio) 

Sezione III - Tesoro del Duomo

Nell'aula dell'antica basilica sono esposti preziosi oggetti liturgici e paramenti sacri, appartenenti al Tesoro del Duomo, tra i quali si segnalano:


Mitra (ante 1297) 

Reliquiario a cassetta con la Sacra Manna 

Reliquiario a cassetta dei santi Cosma e Damiano 

Croce pettorale 

Paliotto argenteo del 1711 

Portantina del XVIII secolo 

Falca Corteo marino 

Falca, Corteo marino , XVI secolo - legno intagliato - donazione della famiglia Proto, Amalfi 

Secondo il racconto tradizionale, nella notte tra il 26-27 giugno 1544, la flotta saracena comandata da Khair-Ad-Din, detto anche Ariadeno Barbarossa, si presentò innanzi alla costa di Amalfi per assaltare la città. La popolazione invocò la protezione di sant' Andrea e di san Matteo, protettori di Amalfi e Salerno. Un'improvvisa tempesta fece naufragare le navi, scongiurando così il pericolo di un disastroso saccheggio. 

La scena è riprodotta nel dipinto di Ottavio Deliani della fine del secolo XVII, collocato al di sopra della porta d'ingresso della navata destra del duomo. Il frammento ligneo, appartenente ad una delle galee nemiche, pare che a seguito dell'evento sia stato ritrovato sulla spiaggia di Amalfi. 

Nella falca-tavoletta sovrapposta al capo di banda di piccole navi è esplicito il riferimento al mito di Galatea, che però non compare. Il corteo marino è costituito prevalentemente da ippocampi e tritoni, e, nel gioco delle code che si attorcigliano, figura Anfitrite che stabilisce una concatenazione tra i personaggi e le onde. 

L'opera a bassorilievo dall'evidente classicismo presente nella narrazione può essere riferita a un maestro d'ascia operante in uno dei cantieri navali genovesi che detenevano, a metà del Cinquecento, il primato nel settore della navigazione. 

Sezione IV - Dipinti e sculture

La sezione conserva pregevoli dipinti e sculture, tra i quali si notano:

Statua della Madonna dell'Idra 

Bassorilievo della Madonna della Neve 

Pala della Madonna del latte 

Lastra ad altorilievo con Madonna e Santi proveniente da un pluteo medievale 

Museo della carta

A sostegno della tesi che vuole Amalfi come la prima città ad aver introdotto tale tipo di lavorazione si schierano autorevoli storici come Matteo Camera il quale nel volume “Istoria della Città e Costiera di Amalfi” scriveva “Egli è indubitato che la manifattura della carta da scrivere, sia di papiro o della così detta bambagina, risale al XIII secolo fra noi; ed essa fu lungamente una delle principali industrie di Amalfi.” Senza voler entrare nel merito di una così nobile contesa quello che è importante sapere è che ad Amalfi si sviluppò una vera e propria industria cartaria che vide in breve tempo nascere e svilupparsi innumerevoli cartiere che hanno contribuito a rendere questo paese famoso in tutto il mondo per la sua pregiata produzione cartaria. La maggior parte delle Cartiere furono impiantate lungo la Valle dei Mulini.

La suggestiva valle è stata descritta e decantata da scrittori, come Henry Longfellow, e ritratta da artisti di ogni tempo, come l’Amalfitano Pietro Scoppetta, il cui acquerello si ammira nel museo di Capodimonte di Napoli. Questa la descrizione che ne dava ai primi dell’ottocento lo scrittore Karl Friedrich: “Condutture di acqua sorgono lungo il pendio sotto la roccia che inarca come una grotta, o sono aderenti alla parete della roccia.

I letti dei fiumi sono spesso coperti da larghi pergolati di viti. All’ultimo angolo la valle sembra essere chiusa da un edificio a più piani di una fabbrica, dove si produce la carta”. Attraverso questa valle scorre il fiume Canneto, sorgente dai monti Lattari, che attraverso una serie di canali sotterranei che corrono parallelamente ma distintamente al corso naturale del fiume costituiva la forza motrice dei macchinari necessari per la produzione della carta.

L’epoca d’oro

All’epoca della formazione del catasto onciario, che costituisce la più interessante e in pari tempo, almeno finora, la più completa documentazione per il 1700, erano in attività nel centro cittadino 11 cartiere della capacità di 83 pile (vasca di pietra in cui si pestavano i cenci per farne carta). Alcune di esse erano dei grandi complessi, con “spandituri” (locali con ampie finestre e numerose fenditure, adibiti all’essiccamento della carta disposta su filari longitudinali); altre invece di più modeste dimensioni.La materia prima impiegata per la produzione di carta erano gli stracci, che oltre ad essere raccolti nelle strade delle contrade limitrofe ad Amalfi, veniva anche da fuori.

Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.

Le cartiere per la loro ubicazione erano soggette ai danni delle alluvioni nei mesi piovosi, e alla mancanza di acqua in quelli di siccità. Nel primo caso, l’acqua con cui lavoravano si accompagnava a detriti; nel secondo, la scarsa quantità di acqua non era sufficiente “a battere tutte le pile” e quindi era necessaria una turnazione. Le complesse e gravi vicissitudini storico – politico – sociali e soprattutto l’industrializzazione diedero un fortissimo colpo a questa, come alle altre piccole industrie amalfitane, che non poterono stare al passo dei tempi.

Il declino

Al lento, ma progressivo declino influirono diverse cause: la ubicazione della Valle dei Mulini, suggestiva quanto mai, ma aspra e ristretta e, quindi, mancante di facili vie di comunicazione, mediante un reticolato stradale o ferroviario con i grandi centri; la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e dello smercio del prodotto, non competitivo con quello di altre più moderne ed attrezzate industrie; la mancanza di acque abbondanti dei fiumi a regime costante, fattore questo dominante per l’alimentazione delle fabbriche e il mancato ammodernamento delle attrezzature. Queste deprimenti cause costrinsero diverse cartiere a smettere il lavoro.

Dello stato molto critico e difficile, si fecero interpreti alcuni lavoratori con una supplica al Re per implorare aiuto. Egli rispondeva in questi termini: “Le lacrime dei nostri figli, proprio della bassa gente…..giungono ormai a Noi….Le tante macchine che l’uomo usurpatore e perspicace ha saputo inventare e ne inventa tutto dì, sono quelle che tolgono pane dalla bocca dei nostri fedeli sudditi nell’intero Regno …”.

Nonostante tante difficoltà, i cartai amalfitani, impiegando spirito di sacrificio, tenace volontà e laboriosità, continuarono la produzione in virtù soprattutto della tradizione. generazione in generazione, da padre in figlio, conservando sempre quella intraprendenza insita nel loro carattere. L’ultimo e tremendo colpo al tracollo dell’industria cartaria fu la catastrofica alluvione del novembre 1954. Essa distrusse la maggior parte delle cartiere. Delle sedici ancora in attività all’epoca della catastrofe ad Amalfi, ne rimasero soltanto tre. Quella di Amalfi non è stata, né poteva essere una media o grande industria; ma ha avuto sin dalle origini, il carattere di artigianato, come in altri campi, di una industria per lo più familiare e proprio questo è vanto e maggior titolo dei cartai di ieri e oggi. Si ha notizia di numerosi carichi provenienti dalla capitale di “roba straccia”, “pezza bianca” ed altro, che all’atto dell’immissione erano soggetti al pagamento di 5 grani a cantaro o di 5 tornesi, se provenienti dalla capitale, a titolo di “ius peso e mezzo peso” alla dogana baronale di Amalfi.

Documentario su Amalfi e la città sommersa di Baia